L’AMICIZIA DEI SACERDOTI E DEI CONSACRATI
CON LE PERSONE DELL’ALTRO SESSO[1]
Giuseppe Carà
“L’amore che possiamo vivere nell’amicizia diventa l’occasione per comprendere che essere consacrato non vuol dire amare di meno, bensì vivere l’amore in una forma diversa. Se questo avverrà nel campo della carità e della perfezione cristiana, allora sì si tratterà di un’amicizia perfetta!”.
Vorrei riflettere, anche se in maniera insufficiente visto l’argomento abbastanza delicato, sul tema dell’amicizia dei consacrati con persone dell’altro sesso. Prima di proseguire mi sembra opportuno chiarire almeno un po’ il termine amicizia così come lo intendo qui; e per far questo ricorro alle parole di san Francesco di Sales: “Se lo scambio avviene nel campo delle scienze, la tua amicizia sarà, senza dubbio, molto lodevole; più ancora se il campo sarà quello delle virtù, come la prudenza, la discrezione, la fortezza e la giustizia. Ma se questo reciproco scambio avverrà nel campo della carità, della devozione, della perfezione cristiana, allora sì si tratterà di un’amicizia perfetta! Sarà ottima perché viene da Dio, ottima perché tende a Dio, ottima perché il suo legame è Dio, ottima perché sarà eterna in Dio! È bello poter amare sulla terra come si ama in cielo, e imparare a volersi bene in questo mondo come faremo eternamente nell’altro! Non parlo qui del semplice amore di carità, perché quello dobbiamo averlo per tutti gli uomini, ma parlo dell’amicizia spirituale, nell’ambito della quale, due, tre o più persone si scambiano la devozione, gli affetti spirituali, e diventano realmente un solo spirito”[2].
Per completezza non posso poi non citare il monaco medievale Aelredo di Rielvaux per il quale: “L’amicizia dunque, è la gloria di chi è ricco, la patria di chi è in esilio, la ricchezza di chi è povero, la medicina di chi è malato, la vita di chi è morto, la grazia di chi è sano, la forza di chi è debole, il premio di chi è forte …”[3].
In realtà ci sarebbe bisogno di attardarsi anche sul tema dell’amicizia nella stessa comunità: “Invece di moltiplicare all’infinito complesse analisi e progettazioni, forse la prima priorità da tenere presente è che le nostre comunità siano comunità di amici dove traspare l’amore del Signore”[4], riguardo alla quale mi limito a citare un episodio raccontato dal noto tedesco Anselm Grun: “Il nostro abate, durante una conferenza spirituale, espresse l’opinione che ognuno dovesse rispondere in maniera affermativa alla domanda se avesse un amico in convento; perché un’amicizia, in cui un individuo possa esprimere tutto ciò che lo riguarda, è d’importanza fondamentale per la maturazione personale e anche per la sua vita spirituale”[5].
Ma veniamo al tema specifico che vorrei affrontare: il rapporto di amicizia e di intimità tra il consacrato e la persona dell’altro sesso. Si tratta di un tema di grande attualità, ma di cui poco si parla al presente e nulla nel passato se non per mettere in guardia e sull’avviso le persone consacrate.
L’amicizia tra persone di sesso diverso, era infatti vista come un pericolo, una porta aperta a inevitabili cadute e deviazioni, fonte di conflitti, di fiacchi sentimentalismi. Un “mettere paglia vicina al fuoco”, favorendo inevitabili incendi; un “abbassare la guardia” che ci predisporrebbe a inevitabili KO.
Si da invece oggi la possibilità di vedere l’amicizia intersessuale come una opportunità che ci è donata, una finestra aperta sul mondo là dove prima c’era un muro. Ciò è avvenuto anche a motivo dei grandi passi avanti fatti dalla coscienza femminile (e maschile sul femminile), che rende il femminile “degno” di amicizia, degno cioè di un rapporto paritario, di un rapporto tra pari in dignità, mentre in precedenza la donna poteva essere vista solo come oggetto o di un interesse apostolico o come elemento tentatore.
Oggi è possibile ad una relazione con una donna in termine di reciprocità, cosa che solo alcuni decenni fa (i tempi della separazione ostile dal femminile) era impensabile, credo anzi che possiamo dire che oggi la donna deve entrare nel destino del consacrato.
Si tratta di un’esperienza di alterità che è necessario vivere per dare sostanza al nostro celibato, una via di liberazione dalla dittatura del proprio sé narcisistico. Infatti qui non è in ballo la questione dell’uso o meno genitale della persona, quanto invece nell’assumere la donna come esperienza “dell’altro” senza la quale esperienza si fa sempre più narcisistica e centrata su me stesso.
Nel caso dell’amicizia con una donna si mette ancor più in evidenza come “L’amico non è qualcuno che s’identifica con noi, che risponde a tutte le nostre esigenze e desideri, fatto a nostra immagine e somiglianza: egli (ella) ha un suo modo di essere, un mondo interiore, una vocazione, una missione personale, intrasferibili, chiamati ad essere riconosciuti, rispettati, incoraggiati, potenziati. Se l’identità e la somiglianza sono una facciata dell’amicizia, l’alterità e la differenza ne costituiscono l’altra”[6].
Nel caso dell’amicizia tra un consacrato e una consacrata, o una donna in genere il criterio di lettura dovrebbe essere quello del dono. L’amicizia dell’altra è un dono che ricevo, è spontaneità, non ne vado in cerca, non mi metto in rete o apro in blog nella speranza di incontrare amicizie, non nasce dalla mia volontà, è un fatto che mi accade: “L’amicizia è sempre un dono che piove dal cielo, che Dio stesso ci offre. Se una persona non sopporta la propria solitudine e allora si cerca un amico o un’amica, questo non è fondamento accettabile per una buona amicizia”[7].
Si tratta di un dono che va accolto e trafficato con prudenza, ma soprattutto con libertà, grazie al quale io integro, nella mia vita il tema dell’eros come forza di attrazione. Un dono che non mette in discussione la priorità del mio rapporto con Dio e la mia appartenenza a Lui, in quanto nell’amicizia viene messo in atto un reciproco non possedersi e non appartenersi.
Si tratterà di vivere un affetto che, pur essendo grande, non si nutre della reciproca appartenenza (come nell’amore tra i coniugi) né, tanto meno, del reciproco possesso: “L’amore che è desiderio di amicizia ci invita a guardare gli altri senza cercare di possederli. Ci rallegriamo di loro, senza cercarne il possesso”[8], bensì una reciprocità di dono dove non sono solo colui che riceve trasformandomi in un essere passivo e dipendente, ma neppure uno che solo dà senza dispormi ad accogliere l’altro trasformandomi in un altezzoso superbo.
In questo senso l’amicizia, soprattutto quelle con persone dell’altro sesso, non può essere un rifugio dalla solitudine, il caldo nido di chi non si sente protetto in nessun luogo.
Chi vuole solo trovare rifugio non sperimenterà mai l’amicizia, ma scivolerà rapidamente verso una relazione caratterizzata dai rapporti sessuali: “Se sono terrorizzato dalla solitudine, allora tenterò di catturare gli altri, non perché provo compiacimento in loro e per loro, ma come soluzione del mio problema. Vedrò le persone solo come modi di riempire il vuoto, la solitudine che mi terrorizza”[9].
L’amore che possiamo vivere nell’amicizia, invece, diventa l’occasione per comprendere appieno che essere consacrati non vuol dire amare di meno, bensì vivere l’amore in una forma diversa, e tuttavia senza minore intensità, dar vita a storie alternative che mostrano che ci sono molti modi di amare e di esprimere l’amore.
L’amicizia può diventare un ambiente nel quale possono trovare libera espressione la comunicazione dei sentimenti, alcune espressione di tenerezza, la dimensione di un impegno affettivo, e di una responsabilità emotiva verso l’altra/o: “Nell’amicizia l’amore di un uomo o di una donna può riportare in vita quanto in noi era impietrito e ammorbidire quanto era indurito”[10].
Nell’intimità amicale che posso sviluppare con una donna, posso far esperienza di quella disponibilità a presentare tutti gli aspetti della mia personalità, non solo le parti piacevoli, confortevoli e rassicuranti, che troppo spesso riteniamo essere le uniche che dovrebbero costituire la nostra identità di apostoli e pastori, ma anche quelle conflittuali, i lati oscuri, le ferite, deponendo quella maschera di autosufficienza che troppo spesso indossiamo e lasciandoci andare a quel clima di tenerezza e gentilezza che una tale intimità amicale riesce a creare.
L’amicizia diventa quel “lasciamo guardare dall’altro” che mi consente di cogliere sfumature della mia vita che altrimenti mi sfuggirebbero o mi rimarrebbero velate in particolare ci immette in quella forma di umiltà che consiste nel riconoscere di avere bisogno di qualcuno per poter vivere bene, qui l’amicizia assume il suo significato pieno di un “vedersi con gli occhi degli altri, essere attenti alle loro esperienze, prendere sul serio le loro sensazioni e i loro dubbi”[11].
In queste condizioni si può acuire in me “La capacità di essere peccatori bisognosi di salvezza, e la disponibilità a lavorare su di sé, perché il terreno porti più frutto”[12].
Grazie a questo tipo di amicizia spesso riesco ad avviare in me quella rieducazione del cuore che mi permette di vedere la sessualità con chiarezza, come quel meraviglioso sentimento di comunione con l’altro, come quel dono di noi stessi che mai potrà essere minimizzato, ma che ammette al suo fianco altri modi di amare pienamente e totalmente come per l’appunto l’amicizia.
Con l’amicizia diamo testimonianza del fatto che l’assenza di rapporti sessuali non ci condanna all’isolamento e alla solitudine, anzi si viene compiendo un’opera di risveglio della nostra capacità emotiva infondendo calore e comunicazione nei nostri rapporti interpersonali. L’amicizia così diventa l’alternativa vera (forse l’unica) a quella tendenza culturale attuale che ci spinge verso esistenze insulari, a vite che girano su se stesse o al massimo che si nascondano nel gruppo (anche quel particolare tipo di gruppo che è la comunità religiosa).
L’esperienza dell’amicizia intersessuale richiede però “il coraggio di una grande lucidità, franchezza verso se stessi e verso l’altro, un forte rapporto con Dio, l’esperienza del proprio nome scritto sul palmo della mano di Dio; il coraggio di stare in Deum, senza però essere affrancati dall’umanità …”[13].
Si tratta di “imparare a vivere l’amicizia nella sua bellezza, verità e incertezza, pur consapevoli delle sue possibili distorsioni. Amare comporta rischi certamente, ma è il rischio di essere vivi …, e l’ideale della vita cristiana non è la sicurezza, ma l’amore, con la sofferenza e le incognite che questo comporta”[14].
Onestà e vigilanza devono essere i cardini sui quali si muove questo tipo di esperienza. “L’amicizia non deve diventare attaccamento all’altro, ma deve conoscere anche la distanza, affinché l’altro diventi veramente trasparente per Dio e non un suo surrogato”[15].
Una tale amicizia mi può dare l’occasione per affermare il mio appartenere totalmente a Dio vivendo in maniera pienamente umana, accettandomi nel mio essere pienamente uomo/donna, suscitando in me sentimenti di fiducia e rispetto. L’amicizia con una donna è così portatrice di una serie di valori che possono nutrire a arricchire la vita umana e spirituale (o meglio; spirituale perché umana) del consacrato, un’esperienza che può essere quel fuoco capace di rinvigorire la fiamma della nostra vocazione, mantenendo comunque un atteggiamento di continuo discernimento perché se “tutto è buono” come dice San Paolo, “non tutto mi conviene”.
Vorrei in conclusione accennare a un ulteriore motivo di riflessione che si andrà sempre più sviluppando, ma su cui non mi voglio soffermare, che sono le amicizie che nascono e si sviluppano in internet. I nuovi mezzi infornatici, e quelli futuri, che spingono verso una relazionalità nuova, su cui è necessario riflettere e prepararsi. Per le nuove generazioni (anche di religiosi), ormai internet con le sue possibilità è una realtà che fa parte non solo delle possibilità tecniche, ma è elemento che costituisce la stessa identità delle persone. È nello stesso tempo luogo e strumento di relazione che non è accantonabile. Su internet nascono amicizie, si sviluppano relazioni. È un ambiente su cui non possiamo rinunciare a rifletter
BIBLIOGRAFIA
SAN FRANCESCO DI SALES, Introduzione alla vita devota III, 19, Ed. Paoline 1998, 186-187.
AELREDO DI RIELVAUX, L’Amicizia spirituale II, 9-14, Ed. Paoline 1999, 138.
G: CUCCI, La forza della debolezza, AdP 2007, 98.
ANSELM GRUN, Celibato per la vita, Ed. Messaggero di Padova 2005, 49.
E. C. RAVA, Amicizia: Sfida e traguardo, in Tredimensioni 1, 2008, 53.
T. RADCLIFFE, La promessa della vita, in Cantare un canto nuovo. La vocazione cristiana, EDB 2001, 166.
T. RADCLIFFE, Il punto focale del cristianesimo, San Paolo 2007, 166.
M. L. NATALI, Le amicizie nell’età antica, in Vita Consacrata 5, 2007, 497.
[1] Tesina per il Corso sull’affettività e sessualità nella vita consacrata, Pontificia Facoltà Teologica Teresianum.
[2] San Francesco di Sales, Introduzione alla vita devota III, 19, Ed. Paoline 1998, 186-187.
[3] Aelredo di Rielvaux, L’amicizia spirituale, II, 9-14; ed. Paoline 1999, 138.
[4] G. Cucci, La forza della debolezza, AdP 2007, 287.
[5] Anselm Grun, Celibato per la vita, Ed. Messaggero Padova 2005, 49.
[6] E. C. Rava, Amicizia: sfida e traguardo, in Tredimensioni 1, 2008, 53.
[7] Anselm Grun, op. cit., 51.
[8] T. Radcliffe, La promessa della vita, in Cantare un canto nuovo. La vocazione cristiana, EDB 2001, 166.
[9] T. Radcliffe, Il punto focale del cristianesimo, San Paolo 2007, 166.
[10] Anselm Grun, ibidem.
[11] T. Radcliffe, Il punto focale del cristianesimo, San Paolo 2007, 65.
[12] G. Cucci, op. cit., AdP 2007, 98.
[13] M. L. Natali, Le amicizie nell’età antica, in Vita Consacrata 5, 2007, 497.
[14] G. Cucci, op. cit. 284.
[15] Anselm Grun, op. cit.