Diac. Prof. Marco Ermes Luparia[i]
Con questo articolo intendo rispondere a quanto affermato sulla Stampa dalla Dottoressa Daniela Borgo, Presidente dell’Associazione Professionale Nazionale degli Educatori Cinofili.
La Borgo sostiene la tesi, ormai acquisita non solo dagli Educatori cinofili ma anche dalla maggior parte dei veterinari: i cani, anche quelli che consideriamo aggressivi ed inquietanti non sono pericolosi, molto dipende da come sono stati trattati dalle famiglie che li adottano.
A questa tesi, che per un certo verso è vera, opporrò due visioni: una di psicologia animale e d’una di psicologia umana.
La prima tesi riguarda la mutazione antropomorfica della psicologia dell’animale domestico, la seconda è inerente alla mutazione zoomorfica dell’uomo.
L’animale, qualunque esso sia, nell’aumentata prossimità con gli umani, ha assorbito molto della psicologia dell’uomo ed in particolare del suo padrone. Quotidianamente è in contato con il mondo delle emozioni (non di sentimenti) che lo rendono per così dire antropomorfico.
Purtroppo come vediamo per gli esseri umani che diventano cattivi maestri, le emozioni vengono espresse in forma estrema e con crescente aggressività. Se non fosse per i freni inibitori, che ancora vediamo funzionare, l’inclinazione a forme estreme sarebbe ancora più diffusa.
Tra le emozioni umane vi sono quelle abbastanza contenibili, ad esempio, il senso della difesa delle proprietà, la gelosia, la perdita del “potere su” persone e cose (anche se il femminicidio dimostra il contrario), ma a cui in maniera diversa, si reagisce ancora con un sufficiente spirito di civiltà.
Nel caso dell’animale, avere assorbito queste emozioni, soprattutto amorose e custodenti, paradossalmente potrebbe essere alla base delle violente reazioni aggressive le cui conseguenze sono in funzione dell’ìndole dell’animale che, di fronte ad esperienze frustranti, rimane pur sempre una bestia. Credo che basti quanto detto per smontare le diffuse tesi a fronte degli episodi di cronaca che leggiamo sui quotidiani.
Poi c’è il versante umano: lo zoomorfismo. Con zoomorfismo intendo quell’empatia profonda e viscerale tra l’animale con il suo proprietario. Empatia che trascende l’amore (la zoofilia) per entrare in una sorta di simbiosi con l’antropomorfismo dell’animale. Con ciò voglio dire che il proprietario sceglie l’animale a sua immagine e somiglianza. E la scelta è in funzione delle proprie insicurezze, dei propri bisogni e vissuti, del proprio mondo emozionale ad esempio le paure e la rabbiosità di fondo verso il mondo circostante. Il cane, ìn definitiva, rappresenta chi è il suo padrone. Anche se quest’ultimo fosse, nella realtà quotidiana, la persona più mite di questo mondo, non si spiega perchè scelga di inserire nella sua famiglia una specie aggressiva che costringe i membri ad un continuo stato di allerta, e che può sfociare all’improvviso in raptus feroci e cruenti dentro e fuori l’ambito familiare.
Chi è veramente mite sceglie la compagnia di un animale del suo stesso temperamento con cui può scambiare coccole sicure e gratificanti, non una specie da cui deve guardarsi sempre con il timore di una pericolosa e imponderabile reazione.
Credo in sintesi di avere messo sufficienti punti interrogativi sulla tesi del cane cattivo a causa del cattivo padrone, visto che talvolta è esattamente il contrario.
Farebbero bene gli educatori e i veterinari a rivedere la tesi della difesa di alcune razze pericolose a meno di non diventare, pur non volendolo, complici di una leggenda zoo-pedagogica che ovviamente trova la sponda plaudente dei proprietari di queste razze, ovviamente fino al momento in cui la tragedia non bussa alla loro porta.
[i] Diacono, Psicologo-Psicoterapeuta, Antropologo Prenatale, Presidente dell’Apostolato Accademico Salvatoriano.