di Gloria Cicciòli
Lo sviluppo del senso morale e del senso di ingiustizia nei bambini è una tematica aperta per la psicologia dell’età evolutiva.
Gli orientamenti che indagano questo settore sono in particolare quello cognitivo, quello psicoanalitico e quello comportamentale.
Per la prima branca, storicamente uno dei pionieri è stato Jean Piaget, che ha inquadrato la moralità come un processo evolutivo distinto in tre fasi : l’anomia morale dei primi anni di vita, durante la quale il bambino non è consapevole delle regole, l’eteronomia morale, dai 4 anni circa, quindi la capacità di rispettare le prime regole soprattutto per rispetto all’autorità, e infine l’autonomia morale, cui si accompagna la consapevolezza che le regole non sono immutabili ma dovute al consenso reciproco, grazie all’interazione con i pari.
Questi primi studi furono poi approfonditi da Lawrence Kohlberg, che sostenne l’universalità di questi stadi di sviluppo e li suddivise ulteriormente in base all’età, basandosi su interviste a bambini di varia età ai quali venivano narrate storie contenenti dilemmi morali e i conseguenti ragionamenti.
William Damon estese queste interviste con problemi critici da risolvere a bambini più piccoli, a partire dai 4 anni, e concluse che i criteri di merito, eguaglianza e benevolenza si raggiungono in tappe successive ma ben presto vengono utilizzati contemporaneamente, senza reciproca esclusione.
Elliot Turriel, in parte in contrapposizione alle conclusioni di Kohlberg, evidenziò come a partire dai tre anni circa i bambini fossero capaci di distinguere l’esperienza morale (secondo nozioni di giustizia, diritti e regole universali) da quella convenzionale (secondo regole arbitrarie, mutevoli e dipendenti dal contesto). L’ Autore poneva aia piccoli partecipanti una serie di trasgressioni che dovevano giudicare, e i bambini fin dall’età prescolare consideravano più gravi quelle del dominio morale e meno quelle del dominio convenzionale, questa teoria è infatti nota come “Teoria dei domini”.
Ma che ruolo svolgono in tutto questo le emozioni, le intuizioni e i sentimenti?
A questo ambito, già ben presente ai filosofi classici, ha fornito i maggiori contribuiti l’approccio psicoanalitico. A partire da Freud il comportamento e il pensiero umano sono visti anche come prodotti di processi in tutto o in parte inconsapevoli.
Di recente le teorie intuizioniste hanno iniziato a riferirsi a questi processi appunto come a intuizioni.
Molto noto è il Social Intuitionist Model di Jonathan Haidt, secondo il quale subito dopo il presentarsi di una situazione morale c’è una reazione emotiva seguita da una più lenta razionalizzazione di questi giudizi; infatti non sempre le persone sono in grado di giustificare il proprio giudizio morale.
Si parla di una perdita selettiva delle intuizioni e si paragona l’acquisizione della moralità allo sviluppo fonologico: alla nascita i bambini sanno distinguere tra centinaia di fonemi, ma l’esposizione ad una specifica lingua fa perdere l’abilità a produrre determinati fonemi, perché in quel contesto non verrebbero mai utilizzati. Allo stesso modo possiamo immaginare un grande spettro della cultura umana, ciascuna cultura si specializza in un sottoinsieme di aspetti morali e ne interpreta uno come preminente.
Solitamente nella psicologia del senso morale ci si riferisce a tre macroaree:
- la morale dell’autonomia, regolata dalla libertà di scelta e dal benessere personale;
- la morale della comunità, finalizzata alla protezione della famiglia e della comunità di appartenenza;
- la morale della divinità, preposta alla protezione dei beni spirituali.
L’ultimo approccio investigativo, quello comportamentista, si interessa di definire come i bambini interpretano e giudicano i comportamenti sociali, in particolare concentrandosi su come vengono valutati i comportamenti aggressivi.
Già bambini in età prescolare sanno ragionare in termini di danno (se si tratta di aggressività fisica) o di giudizio morale (se si tratta di aggressività verbale-relazionale); a questo si aggiunge, a partire dai 6 anni, la valutazione di possibili ritorsioni.
Questo rapido excursus ci conduce a vedere, almeno per sommi capi, il fascino del processo di acquisizione del giudizio morale, che è insieme innato e appreso, individualmente declinato e culturalmente condiviso.
In molti denunciano l’eccessivo relativismo morale dei nostri tempi ed in molti pensano, almeno in teoria, che i limiti non possano essere così vaghi in tutto.
Come mai allora è così frequente, per tutti, adottare comportamenti che contraddicono i valori che altrove si difendono?
Un concetto interessante che può aiutare la riflessione personale è quello di “disimpegno morale”, proposto da Albert Bandura, che ha identificato otto modi per giustificare o spiegare in modo convincente perché tradiamo i valori in cui affermiamo di credere, si va dalle giustificazioni morali (“lo faccio per il tuo bene”), agli eufemismi, al dislocamento delle responsabilità, alla diffusione delle responsabilità (“Lo fanno tutti, perché non dovrei farlo io?”), fino ai meccanismi più nefasti, come il confronto arbitrario (“gli altri fanno peggio di me”), la deumanizzazione e l’attribuzione di colpa alle vittime.
Oltre all’esercizio continuo della consapevolezza di noi stessi, cosa possiamo fare nel nostro rapporto con i piccoli, come genitori, educatori, in generale come adulti, per evitare di trasmettere un modello di comportamento disimpegnato?
A livello educativo- pedagogico, le ricerche più recenti suggeriscono come conveniente un approccio che non ricorra troppo spesso alle punizioni ma favorisca la verbalizzazione di ciò che il bambino sta provando in quel momento e attivi la riflessione su quel che sta provando l’altro, facendo leva sui sentimenti empatici che costituiscono un naturale patrimonio infantile.
E’ evidente che in talune circostanze può essere necessaria un’azione coercitiva o una disapprovazione netta, quel che conta è cercare di raggiungere, attraverso il dialogo e l’osservazione costanti, una pressione ottimale, secondo gli individui e il contesto, fino a che l’induzione non è più necessaria perché il dispiacere per l’altro e la motivazione a riparare sono avvertiti come provenienti dall’interno.
Anche il gioco e la lettura possono aiutare lo sviluppo e l’esercizio del ragionamento morale dei nostri bambini, per favorire la cooperazione anziché la competizione e riflettere insieme su ciò che è più o meno giusto.
Senza alcuna pretesa di esaustività, si presenta qualche suggerimento di lettura ad hoc, suddivisa per fasce di età e ricordando che la prima empatia che si sviluppa in una lettura condivisa è innanzitutto verso la storia che si ascolta.
La gioia, il rispecchiamento e l’eventuale insegnamento che un bambino può trarre sono conseguenze spontanee e proporzionali a quanta libertà, fiducia e silenzio si concedono alla narrazione e a chi la sta ascoltando.
In fondo, la strada per la giustizia è l’ascolto.
Inviti alla lettura:
Per saperne di più (adulti):
M. Santiniello, “Non è giusto. Psicologia dell’ingiustizia sociale”. Ed. Liguori 2011
C. Volpato, “Deumanizzazione. Come si legittima la violenza” Ed. Laterza 2011
C. Volpato,“Le radici psicologiche della disuguaglianza”, Ed. Laterza 2019
Per e con i bambini:
“Amici sempre sempre” (Dai 2 anni)
“Il raffreddore di Amos Perbacco” (Dai 3 anni)
“Cosa c’è nella tua valigia?” (dai 4 anni)
“Il carrello di Madama Miseria” (dai 5 anni)
“La bambina tutta verde” (dagli 8 anni)
“Io come te” (dai 12 anni)