Riflessioni del Diacono Marco Ermes Luparia
Venticinque anni al fianco dei sacerdoti sono un tempo certamente significativo per poter dire qualche cosa su quella che è la loro vita le loro difficoltà, i loro bisogni, le loro aspirazioni e anche….le loro ferite.
Per dare forza a quello di cui sto per scrivere devo raccontare un aneddoto.
Anni fa una coppia che avevo preparato al matrimonio mi chiese di benedire le loro nozze. Era una delle tante e questo non aveva nulla di straordinario se non fosse che questo matrimonio si sarebbe celebrato in un remoto paesino delle dolomiti. La famiglia ha organizzato tutto sia per gli ospiti che per me addirittura prenotando un aereo esecutive per Bolzano.
Ovviamente mi sono premurato di avere da loro la rassicurazione che il Parroco fosse disponibile a darmi la delega.
Il giorno del matrimonio mi sono presentato per tempo in Chiesa per incontrare il Parroco un uomo anziano. Con mia sorpresa mi sono trovato di fronte una secca smentita: il matrimonio lo avrebbe celebrato lui! Gli sposi erano sbigottiti e devo ammettere che anche io ero irritato. Comunque li ho invitati a dare priorità alla gioia del momento che stavano vivendo io avrei svolto tranquillamente il mio servizio all’altare. Alla fine si sono calmati ed è iniziata la celebrazione.
Nel corso della Messa mi sono accorto che per due volte si era bloccato come se avesse avuto un forte momento di confusione. Sfogliava le pagine avanti e indietro senza procedere. Ma quando mi sono accorto che stava ripetendo alcune parti del Messale ho deciso di intervenire guidandolo sul Messale passo passo.
La gente ridacchiava ironicamente in modo derisorio e questo mi faceva male, e il dolore aumentò quando con lo sguardo perso dopo ogni preghiera liturgica mi chiedeva: “Diacono ho fatto bene? Diacono ho fatto bene?”.
Fu lì che mi accorsi che quel caro prete con molta probabilità era affetto da Alzheimer! Mentre gli rispondevo “Sì Padre, sì stia tranquillo!” le lacrime hanno cominciato a scorrere sul mio viso indifferenti a che mi stava guardando e sentendo un grande amore per questo sacerdote sconosciuto. Mai mi sono sentito così diacono come in quei momenti!
Ero ai primi anni di ministero e questa esperienza così forte mi ha segnato per tutta la vita. La mia dedizione al sacerdozio, sia presbiterale che episcopale, è diventata la mia missione che ancora oggi svolgo come priorità della mia vita di Diacono.
Più di venti anni di prossimità con i sacerdoti hanno accresciuto la mia riconoscenza per la dedizione, la passione pastorale che talvolta li ha condotti anche a forme di esaurimento con varie conseguenze. Poi ci sono le malattie invalidanti, la vecchiaia, o malattie di varia natura.
Purtroppo ho dovuto rimarcare che il guaritore ferito non rientra nell’attenzione dei guaritori sani (gli altri sacerdoti), Questi ultimi, secondo i criteri del DNA spirituale, sono quei fratelli di “sangue” che in qualche modo dovrebbero farsi carico del fratello sofferente e bisognoso.
Purtroppo mi accorgo che il guaritore ferito nella migliore delle ipotesi viene affidato a qualche struttura e altre volte abbandonato perché “è un problema”. Le cure distolgono dall’attività pastorale e tolgono tempo a impegni, per così dire, più produttivi.
Questa evidenza mi ha sempre generato dolore e per quanto mi è stato possibile allorché ho affrontato il tema della fraternità presbiterale ho sempre cercato di sensibilizzare il clero sulla bellezza di questo scambio anche generazionale di affetto e riconoscenza.
A questa latitanza talvolta giustificata e altre no, risponde una analoga disattenzione ad una educazione al Popolo di Dio ricambiare le cure e le attenzioni, talvolta ricevute per decenni verso il loro vecchio Pastore. D’altronde non ci sono vie d’uscita un prete non ha moglie o figli che possano prendersi cura di lui nella vecchiaia e nella malattia.
Facendo parte della Consulta Diocesana di Roma per la Pastorale della salute non ho potuto fare a meno di sottolineare al Vescovo Ausiliare incaricato, Mons. Paolo Ricciardi, il dispiacere che nel piano di attenzione alla salute non rientra questa porzione speciale di popolo di Dio che sono i sacerdoti.
Nella migliore delle ipotesi sono uguali a tutti i malati, se non fosse che molte volte nella dimenticanza anche loro stessi, in stato di degenza, archiviano il loro ministero ponendosi nell’unica condizione di ammalati. Lungi da me il giudizio, lo vedo come la logica conseguenza dell’abbandonarsi ad un triste declino.
La proposta che ho fatto al Vescovo Ricciardi, che ha accolto con molta serietà, stata quella di aprire una finestra di attenzione pastorale alla situazione di bisogno dei preti secondo due direttrici: la prima sensibilizzando il clero ad una maggiore attenzione affettiva verso i confratelli ammalati, la seconda educando i fedeli della parrocchia farsi carico dell’accompagnamento, in parrocchia, fino a quando è possibile del loro vecchio parroco, mobilitando risorse esistenti (ARVAS, AVO) o figure generose capaci di esprimere una bella e cristiana riconoscenza.