Questo mio scritto è apparso per la prima volta sul periodico Viator nel 2002, e successivamente inserito nel mio saggio “Quale uomo?”, edito nel 2016 dalla Lateran University Press sotto forma di capitolo. Rileggendolo a distanza di più di venti anni mi sono tristemente reso conto quanto la situazione sia rimasta tale, anzi peggiorata fino a dare ancora più forza al dubbio nel titolo, rendendolo quanto mai attuale.
“Era il 1991 quando mi trovavo in Polonia per l’ordinazione sacerdotale di tre diaconi salvatoriani miei amici e, nel programma delle visite di quel paese dove mi trovavo per la prima volta, non poteva mancare la visita a Oswiecim, una piccola cittadina dal nome anonimo per il lettore italiano, se non fosse che quando quella porzione di Polonia si trovava annessa allo stato tedesco, durante il secondo conflitto mondiale il suo vero nome era Auschwitz!
Eravamo in tre e sopravvivemmo al dolore e allo sconcerto di quella testimonianza di inumana barbarie e di morte per meno di due ore, poi dovemmo uscire tra le lacrime ed il disgusto.
Racconto questo episodio solo per dimostrare in via preliminare quanto siano lontani da me sentimenti antisemiti e come ancora oggi abbia un discreto numero di ebrei che annovero tra i miei più cari amici. Nonostante tutto sento di non potermi esimere, a meno di auto-tacciarmi di vigliaccheria, dall’esprimere la mia opinione su quanto sta avvedendo in Israele ed in Palestina. E’ molto difficile affrontare quest’argomento, cercherò di essere equilibrato, ma essendo amante della verità non mi potrò defilare di fronte all’evidenza oggettiva che richiede “pane al pane, e vino al vino”. La vera amicizia si verifica proprio su queste fondamenta: sincerità e buon animo anche nel dire cose sgradevoli.
Quello che sta accadendo in Medio Oriente sta completamente stravolgendo ogni criterio della logica umana, mettendo in evidenza in tutta la sua nefandezza quanto sia potente il predominio dell’ideologia sulla ragione. Non tanto per quello che accade direttamente nei territori occupati, quanto nella modalità di ragionamento con la quale il mondo occidentale sta valutando quest’ennesima umana tragedia.
Stupisce come una parte del mondo intellettuale italiano non abbia esitato, neppure un po’ e per pura partigianeria, a schierarsi con l’uno e con l’altro, sulla base di semplicistiche argomentazione prive delle fondamenta di un’analisi storico-politica. Come se il verificarsi di un fatto non richiedesse almeno un minimo di analisi dei precedenti politici, economici e sociali. Ogni analista storico (che nei talk show viene rigorosamente tenuto fuori) sa che fatti come quelli a cui stiamo assistendo non nascono dal nulla. Hanno la loro ragione di essere, i loro prodromi, le loro finalità evidenti e quelle occulte. Non vi è bomba senza un suo “detonatore”. Fermarsi agli eventi ultimi significa rimanere pericolosamente in superficie, con la logica conseguenza di dividere il mondo in “buoni” e “cattivi”.
Se idealmente dovessi chiedere a un giovane palestinese che cosa lo spinge ad uccidere ed essere ucciso, mi risponderebbe che lo fa per la sua terra e per la libertà del popolo a cui appartiene. Se ponessi la stessa domanda a un giovane soldato israeliano, egli mi risponderebbe alla stessa maniera. Ai nostri occhi obiettivi appare che ambedue si sono macchiati (per una nobile causa) del sangue di militari e civili, donne, vecchi e bambini. E allora che cosa li differenzia? Le armi! L’uno facendosi esplodere, l’altro completamente equipaggiato di armi di distruzione.
Ma ecco che per una arcana alchimia della mente la valutazione degli osservatori si fa di colpo grossolana e di parte: un uomo bomba è un terrorista, il soldato è un combattente! A questo punto anche la mia mente si annebbia. L’atto di morte di un giovane, distruttivo e barbaro non può essere liquidato in quattro e quattr’otto, senza chiederci cosa possa averlo portato ad un gesto così innaturale. Nei conflitti l’essere umano mentre tenta di uccidere il nemico, cerca con tutte le sue forze di salvarsi la vita (lo dimostra lo spessore della lamiera del carro armato). Ma se si vuole chiamare “terrorista”, accetto questa denominazione. Qualcuno però, a questo punto, mi deve spiegare cosa abbia di edificante ed etico un colpo di cannone verso una casa dove ci possono essere tutti: “il nemico”, i figli del nemico, i genitori del nemico, i nonni del nemico e così via. Mi deve dire anche quale sia il coraggio di farlo da dentro un tank, da dietro un muro, appostato su una terrazza, sparando a bruciapelo sulle persone, magari armate di un sasso e con un’età media di dodici anni.
Se il kamikaze paga di persona il suo gesto scellerato, chi ne compie uno analogo protetto da cinque centimetri di lamiera non mi sembra un grande esempio di coraggio. Se il kamikaze è indiscutibilmente un portatore di terrore tra la gente, qualcuno mi deve spiegare quanto sia “rassicurante” una colonna di carri armati che passando in una città spiana tutto con i cingoli o con i cannoni e mitragliatrici.
Forse se ci comprendessimo conferendo alla parola “terrorismo” un significato univoco, si farebbero passi avanti verso il dialogo. Il significato di questo teremine, se si vuole trovare un accordo, non lo si deve ricercare nei vocabolari o nel saccente eloquio degli “stupidi intellettuali occidentali”, ma negli occhi dei bambini e delle donne, palestinesi ed israeliane. Specchiandosi in questi occhi feriti e addolorati, si capirebbe allora che tutto è terrorismo e terrore, che non esiste una guerra pulita ed una sporca. La guerra è guerra, e perciò stesso implica terrore. Non basta una divisa a ripulire le coscienze, se la guerra è necessaria ognuno si assuma la responsabilità di ciò che sta facendo. E più sale il livello decisionale e maggiore è la responsabilità. In una guerra, chi vuole basare le proprie infantili congetture sulla differenza tra gli stracci e le uniformi, lo fa giocando in modo perverso e sadico con i meccanismi della mente umana.
Che lo si voglia o no, non si scappa, i contendenti sono tutti nella stessa identica situazione, tutti si devono assumere davanti a Dio ed agli uomini la stessa identica responsabilità; e tra i contendenti comprendo anche i voayuer cinici e sanguinari che assistono allo scempio. Coloro che si sono vestiti da kamikaze a Roma hanno fatto un’opzione interiore di guerra, lo sono veramente nell’animo, e coloro che si sono schierati dietro lo striscione, “Noi siamo per Israele” hanno preso la stessa decisione. Ambedue sono dei combattenti e ambedue, anche se le loro mani sembrano essere pulite, nel fondo della coscienza si sono macchiati del sangue colpevole ed innocente dell’una o dell’altra parte
Rimango addolorato e incredulo di fronte alle affermazioni apodittiche non dell’uomo della strada, quanto degli uomini di cultura, che dimenticando la storia, peggio che mai se è giornalista, si limita a liquidare la faccenda in modo sbrigativo, superficiale e grossolano, facendo bella mostra della stessa bieca ideologia di chi si schiera dall’altra parte sentendosi autorizzato al “tutto per tutto”.
La soluzione diplomatica rimane inaccessibile per lo stesso motivo. La diplomazia cerca soluzioni intermedie, cadendo in una sorta di “sindrome di Pilato “mista a una falsa equità salomonica. Le responsabilità sono oggettive e se non sono messe in evidenza con chiarezza davanti a tutte e due le parti (e al mondo intero), ottiene esattamente il contrario di quello che all’origine si intendeva perseguire: chi subisce l’ingiustizia si infuria ancora di più e chi la perpetra aumenta la sua pressione tirannica. Insomma gli spettatori non sono figure inerti nello scenario!
E’ mia opinione che chi merita un ceffone se lo debba prendere ed anche sonoro! E tutti devono essere d’accordo nel darlo! Conosciamo molto bene la terribile ripercussione di certi atteggiamenti “pedagogici” improntati alla falsa equità genitoriale. Quando di fronte ad un litigio, ambedue i figli sono indifferentemente redarguiti, se non puniti, chi ha subito l’ingiusta punizione si porterà dentro una rabbia profonda legata ad un altrettanto profondo senso di ingiustizia, mentre chi se lo meritava ne uscirà rafforzato. La prossima volta gli andrà meglio.
E allora con grande amore per i miei fratelli ebrei dichiaro di essere molto irritato con Israele. Sia Israele entità politica e territoriale, sia Israele Popolo di Dio. I miei fratelli maggiori, così li ho sempre considerati, mi hanno messo con le spalle al muro. Io che li ho sempre difesi, che ho pianto ad Auschwitz; io che appartengo alla stessa famiglia religiosa di Padre Pancrazio Pfeiffer, morto nel 1944 a Roma dopo avere salvato la vita ad un numero considerevole di ebrei, compresi alcuni inseriti nelle liste delle Fosse Ardeatine, mi trovo oggi ad avere il cuore colmo di tristezza. Mi rivolgo ai miei fratelli maggiori dalle cui radici provengo e chiedo loro: che cosa sta succedendo?
Voi che avete coltivato la memoria della Shoah e l’avete affidata al mondo come una reliquia e il mondo l’ha accettata come tale. Voi che siete stati senza patria, perché non riuscite a vedere che la storia del popolo palestinese un giorno fu la vostra? Fratelli ebrei chi meglio di voi può capire le istanze di coloro i quali si trovano a non avere terra? Chi meglio di voi può capire che cosa si prova a essere sottomessi al giogo di qualcuno per decenni? O cosa si prova a essere inseguiti da mezzi militari potenti, mentre per la difesa si hanno solo le mani nude?
Raccontatemi fratelli ebrei che cosa si prova a stare nei ghetti, a essere deportati in campi di concentramento, essere denudati e derisi. Mi aiuterete a capire meglio la storia dei palestinesi di oggi: cristiani e non. Ho pianto con voi per l’abominio cui siete stati sottoposti e per lo stesso motivo oggi mi ribello all’idea che chi è stato perseguitato, un giorno diventi esso stesso persecutore.
Sono stato in Israele e non ho bisogno che qualcuno mi spieghi com’è fatta la Palestina, non ho bisogno di sapere quale sia la differenza urbanistica di un insediamento di coloni e quello di un campo profughi o di una città palestinese. Non c’è bisogno che qualcuno mi dica, perché ho visto con i miei occhi le differenze di trattamento tra le targhe blu e quelle gialle delle autovetture.
Fratelli miei anche voi avete provato che l’esser umano pone un limite a tutto. Ma guai a fargli passare il limite della disperazione! E allora ditemi: è stato passato il limite della disperazione? Come al tempo di Davide, quanti anni di sassaiola hanno contrastato il ruggito dei tank e il crepitio delle mitragliatrici? Quanti bambini sono morti con un sasso in mano avendo avuto meno fortuna di Davide contro il suo filisteo?
E vi chiedo ancora, fratelli miei, quei poveri morti sugli autobus, nei mercati, nelle piazze, sapevano dell’azione scellerata e iniqua dei loro governanti? Sapevano che il tempo dell’esasperazione si stava pericolosamente avvicinando? Sapevano che qualcuno stava seminando un odio che nel loro cuore non vi era mai stato allocato? Spesso, più che mai oggi dove impera la paranoia politica più totale, sono i potenti a creare un nemico da combattere, ne costruiscono la fisionomia, ne strutturano la cattiveria e poi attraverso il sottile e subliminale gioco delle comunicazioni ideologicamente pilotate, compiono i loro misfatti. I seminatori di odio hanno sempre uno scettro in mano, anche in quella che viene chiamata democrazia.
Oggi in Terrasanta, (così mi piace chiamarla), i limiti che sono stati oltrepassati sono due: quello della stupidità e quello della disperazione. Mai miscela è stata più pericolosa. Fate litigare uno stupido ed un disperato e vedrete presto due cadaveri sulla polvere.
La cosa terribile, foriera di nefasti presagi, è che lo stupido e il disperato amalgamano attorno a se altri stupidi e disperati fino a creare i presupposti di un vero e proprio olocausto. La parola olocausto oggi non richiama più la storia di un popolo particolare, ma dell’intera umanità.
Un altro punto che mi genera un grande disagio riguarda il legame tra il “senso di colpa” e “colpevolizzazione”. Questo meccanismo, molto noto in psicologia, può essere individuato sia nelle relazioni duali, che in quelle riguardanti i grandi gruppi. Al suo sono insiti meccanismi di potere basati sul cercare di sottomettere l’altro attraverso evidenti messaggi colpevolizzanti. Questo avviene anche nella storia di grandi masse.
Per decenni il mondo occidentale ha portato dentro di se il senso di colpa della shoah, e vi è una parte di ragione storica in questo. La stupidità dell’ideologia ariana, che in fondo pesca in una cultura cristiana legata al concetto di vendetta per il deicidio perpetrato dagli ebrei, unitamente ad una presunta supremazia razziale, ha fatto leva sulla componente più bassa, ma vera, dell’uomo: il desiderio di dominio. Ma solo una minima parte del mondo cristiano si è alleata ideologicamente con questo scellerato progetto nazista, anzi il di più si è schierato contro i pogrom prendendo le distanze politiche, ideologiche e spirituali ed altrettanti non ne erano a conoscenza (come forse in questo momento in Israele).
La Chiesa cattolica per decenni chiamata in causa su questo punto, ha accettato le responsabilità per quella porzione di Chiesa di regime, ma non come Chiesa Universale. Anche le accuse di connivenza con il nazi-fascismo rivolte a Papa Pio XII, si stanno sempre più ridimensionando lasciando trasparire dei retroscena molto più edificanti.
Il ricordo, la memoria, per mezzo secolo, non sono stati un bene prezioso solo per Israele e per gli ebrei, ma per tutto il mondo occidentale civile, che non vuole che si ripetano tali orrori. Questo deve essere il fine del ricordo e null’altro. Guai se s’innescasse il subdolo processo in cui il colpevolizzante si scopre essere una sorta di potere subliminale sul colpevolizzato. E facendo leva su quest’atto di forza nella coscienza, aumenta ancora di più la pressione autoritaria.
Dopo i fatti dell’11 settembre nessuno parla apertamente per la paura di essere tacciato di anti-semitismo. Se non concordi con la politica israeliana allora sei un nemico, un anti-semita e sei accusato di non tenere in debita considerazione l’olocausto.
Ecco allora la mia domanda: “L’olocausto di ieri è un’autorizzazione sine die a compiere qualunque gesto si ritenga necessario? In virtù dell’olocausto, una persona o un popolo è autorizzato a compiere qualunque gesto e a non essere giudicato? L’avere subito l’olocausto mette in condizione Israele di non commettere errori? Da dove nasce l’idea di questa immunità?”. Lo dico apertamente, la questione non mi piace, essa è parte di un delirio di onnipotenza che non dice nulla di buono.
In quest’ottica, la paranoia del vedere nemici dappertutto è vera o artefatta? Negli ultimi cinquant’anni della storia Europea dove sono i nemici degli ebrei, eccettuato sporadici episodi di frange violente, emarginate, anacronistiche, condannata da tutti?
Io personalmente sento una naturale repulsione verso la tirannia e la prepotenza, e di conseguenza verso tutti quei meccanismi subdoli con i quali qualcuno tenta di soggiogare un altro. Quello della colpevolizzazione è il più chiaro (e vile) di tutti. Allora sento di poter dichiarare ai miei fratelli ebrei, che non mi sento in colpa dell’olocausto, non ho mai condiviso la logica perversa dell’anti-semitismo che non mi appartiene neanche un po’ e per questo mi sento libero di affermare quanto affermo.
Il “senso di colpa” e la “colpa reale” sono due concetti abissalmente differenti fra di loro. Il senso di colpa spesso non ha materia e ancora più spesso non è oggettivo. Nasce da un valore individuale che s’impone alla condivisione dell’altro, costi quel che costi e a dispetto della sua visione delle cose. La colpa reale è invece legata a un fatto in cui si è implicati direttamente e di cui ci si deve assumere la responsabilità.
L’Europa del Terzo Millennio non ha nulla a che fare con l’olocausto e guai se dovesse entrare nel meccanismo del sentirsi in colpa “sine materia”, perdendo la libertà di coscienza e di critica che deriva dalla valutazione oggettiva dei fatti.
Devo anche ringraziare i miei fratelli ebrei per avere reso sempre più vivido davanti ai miei occhi il Dio della misericordia annunciato dal Cristo suo Figlio. Mai come in questo tempo è apparsa evidente la differente visuale della percezione di Dio tra il mondo ebraico, quello islamico e quello cristiano. Quando affermiamo che il Dio che noi adoriamo è lo stesso per tutte e tre le religioni monoteistiche è verissimo. Come potrebbe essere altrimenti, Egli è sempre quello che è: il Dio di Abramo è il Dio di Abramo. Ma la provenienza dall’unica radice non dice nulla invece sulla percezione che noi abbiamo di Lui. Il Dio della giustizia è diverso dal Dio della Misericordia. Il Dio giustiziere, e di parte, appartiene sono al mondo ebraico e islamico, quello della legge del taglione e della vendetta. Quello che parteggia per uno o per l’altro popolo, condannando a morte una delle due controparti.
No, quel Dio, non è il mio Dio! Non è il Dio di Gesù Cristo! Non è quel Dio che camminando al fianco del suo popolo e gettando lo sguardo poi sull’intera umanità, ha deciso di redimerla tutta! Niente figli e figliastri, tutti sono nel suo grande Cuore! Il primogenito non accetterà mai di buon grado di perdere la primogenitura, così come i primi vignaioli non accetteranno di avere lo stesso salario degli ultimi. Non accettano pienamente la bontà e l’equità del Padre, perché non accettano di dividerla con altri.
Quante parabole di Gesù mi si chiariscono in questa visione palpitante dell’esperienza della misericordia. Mi sovviene la parabola del servo infedele, quello cui era stato condonato molto e che poi massacrerà il suo servo per pochi spiccioli! Oh, Israele quanto assomigli a questo servo infedele! Hai avuto la misericordia e la pietà del mondo intero al momento opportuno e oggi, quando ti viene chiesta attenzione ed analoga pietà, ti comporti come il peggior carnefice!
Com’è possibile che tu non capisca, Israele, che essere una delle più grandi potenze militari ti impegna ad usare la forza con misura e saggezza. E come spiegare che non si comprenda che nella disparità dei rapporti di forza, la disperazione impone strategie di risposta non ortodosse? Cosa ha fatto Giuditta? Ha forse affrontato coraggiosamente Oloferne, oppure cosciente della sua debolezza e inferiorità lo ha colpito a tradimento nel sonno? E come ha agito il piccolo Davide di fronte al gigante Filisteo, l’ha affrontato direttamente sul campo oppure lo ha preso a tradimento colpendolo mortalmente alla distanza? Ironia della storia, Davide “precursore dell’intifada”!
Il Dio della misericordia è oggi molto lontano da Israele, qualcuno per ragioni di Stato l’ha estromesso. Ma questo qualcuno sappia con certezza che Egli non parteggia per l’uno o per l’altro, ama tutte e due questi figli prediletti (israeliani e palestinesi) ora rovinosamente accaniti l’uno contro l’altro. Nessuno si azzardi a invocare il nome di Dio per giustificare le proprie nefandezze, se ne assuma la responsabilità davanti a Lui e davanti agli uomini!
Il Dio della misericordia in cui credo fermamente, il Dio dell’amore e del perdono, mi ha insegnato ad amare tutti indistintamente. Mi ha chiamato ad amare il mio prossimo come me stesso. Gesù ha perfezionato questo comandamento conclusivo raccomandandoci di amare il nemico come Lui ha amato noi.
Israele fratello diletto io voglio amare la tua parte bella, per potermi immergere nella mia e tua storia senza dovermene vergognare, voglio amare la tua fecondità, la tua fedeltà nei millenni al Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Personalmente, e decisamente, prendo le distanze dalle mani insanguinate, siano le tue o quelle di chiunque altro. Non le riconosco come mani consacrate dal privilegio della conoscenza di Dio Padre (e per noi Cristiani di Dio Figlio e Dio Spirito Santo).
Diamo a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. Chi ha provocato la disperazione fino all’estrema conseguenza della violenza barbara e cieca, se ne assuma la responsabilità e il mondo smetta di stare a guardare come un “colossale e collettivo Pilato”.
Ho iniziato questa mia riflessione ponendomi una domanda: e se la Shoah fosse dimenticata. Questo è il vero nemico di Israele: la dimenticanza. Il passato che non diventa mai storia, assume le sembianze di un’ombra da cui non ci si libera mai. Una signora ebrea di Roma partecipando a una manifestazione pro-Israele, nell’intervista disse: “Se pensano di buttarci ancora a mare, possono dimenticarselo!”. Chi pensa di gettare a mare gli ebrei, mi risponda (la signora non aveva un viso da ghetto di Varsavia)? Quali sono i fantasmi atavici di questa donna e che lei ha tramandato a suoi figli, e ai figli dei suoi figli? Dove pesca questa paura? I miei fratelli ebrei rispondano a questa domanda.
Dio non voglia che la shoah venga dimenticata! Se il mondo occidentale perdesse la pietà e la memoria di quanto è avvenuto nei campi di concentramento, l’olocausto dello scorso secolo sarebbe una piccola cosa al confronto di quello che potrebbe avvenire oggi, nel momento in cui i buoni ed i cattivi non sono solo una piccola compagine di pochi milioni di esseri umani dispersi in Europa, ma centinaia di milioni di partigiani di una parte e dell’altra. Sarà pianto e stridore di denti. E gli stupidi che avranno innescato questo nuovo e terribile olocausto, chiamando in causa altri milioni di stupidi, non avranno il tempo di un processo umano, se la vedranno direttamente con il giudizio di Dio.
La shoah può essere dimenticata? Concludo raccontando la parte finale della mia visita al Campo di sterminio di Auschwitz. Prima di uscire dal campo andammo nell’edificio in cui si potevano comprare dei ricordi e in cui vi era una sala di proiezione. Il parcheggio era pieno di decine di bus di giovani provenienti dalla Germania, dalla Polonia e da altre nazioni del nord Europa. Le intenzioni della visita, nell’immaginario degli organizzatori (certamente professori), sarà stato sicuramente quello di dare un insegnamento storico e valoriale, facendo toccare con mano ciò che rimaneva di quella assurda parentesi di storia. Bene! Io non dimenticherò mai come accanto alle mie lacrime, si potessero udire le grida allegre e festanti dei giovani, che senza avere la minima consapevolezza di quello che stavano vivendo ridevano, scherzavano, sia fuori sia dentro la sala di proiezione.
Ne concludo che la shoah può essere dimenticata! Se ciò avverrà, non sarà più importante che Israele ricordi, se il resto del mondo avrà dimenticato. E allora chi difenderà Israele dai suoi nemici esterni e “interiori”? Le bombe finiscono, e gli uomini muoiono. I piccoli e disperati anche nella storia dei Giudei spesso hanno avuto la meglio di eserciti molto potenti, non abbia Israele troppe certezze, confidi in Dio e non nei potenti (o nella sua potenza).
Ecco allora la conclusione: in fondo la mente umana, se vuole può dimenticare, e nessuno le potrà impedire di farlo, ma qualcuno dalla mente torbida e mire insensate potrebbe agevolarne il processo, accelerando il processo dell’oblio.
Signore, fa che questo non accada!