IL LIMITE E L’OLTRE LIMITE

da | Mag 25, 2024 | BLOG

IL LIMITE E L’OLTRE LIMITE

da | Mag 25, 2024 | BLOG

Nell’epoca dell’ipermedia, del mondo globale, della virtualizzazione dell’intelligenza, il mondo occidentale sta conoscendo una stagione di regressione psicologica  ed etica di proporzioni planetarie, come non era mai accaduto e come non poteva accadere prima.

La visione antropologica a cui l’uomo moderno si ispira risente fortemente dello strapotere delle ideologie allontanando l’uomo dalle sue radici originarie ed avviandolo scelleratamente verso una china piena di incognite inquietanti. L’uomo moderno si pensa all’apice di uno stadio evolutivo esaltante, pieno di novità, avviato verso lidi inesplorati ed affascinanti, insomma, verso un progresso senza confini, o meglio dire senza limiti.

A fronte di questo scenario, ci si trova di fronte a due estremi: catastrofismo e superficialità. Chi avrà ragione? Non pretendo di risolvere l’enigma, ma almeno offrire un sistema di riferimento concettuale che esca dalla logica utilitaristica del “ciò che mi piace è buono” per entrare in quella certamente più adulta del “ciò che è buono ed opportuno è utile”..

a. Il significato di limite

La parola limite del linguaggio quotidiano non suona bene all’orecchio. Nessuno vuole sentir parlare di limiti o, peggio, essere limitato. Limite evoca spesso il concetto di ostacolo, tabù, divieto, proibizione, semaforo rosso, segnale di stop, barriera inviolabile, confine, frontiera, handicap, inferiorità, vincolo, condizionamento, ecc. Invece noi utilizziamo il concetto di limite positivamente come risorsa, regola. L’etimologia latina di limite significa viottolo, linea che fa chiarezza, tracciato dirimente, e dunque consapevolezza delle proprie possibilità, e proprio per questo incentivo alla ricerca di alternative.ù

Dal punto di vista dei significati storici accettare il limite significa porsi fuori della modernità, significa perdere gli appuntamenti con la storia e con il progresso, insomma rassegnarsi a perdere il contatto con la tanto idolatrata post-modernità che invece cerca prospettive il-limitate. Anche dal punto di vista storico Antonio Nanni si pone da un altro punto di vista e da una parte rassicura e dall’altra ammonisce:

Se ora proponiamo di “abitare il limite” vuol dire che oggi siamo consapevoli dell’improponibilità storica di abitare una dimora sicura, una fortezza e dunque abitiamo il Viottolo. Nel tempo della complessità e dell’incertezza non possiamo che abitare il limite, cioè il margine, la sporgenza.

Ometto volontariamente la visione filosofica del limite poiché ci porterebbe troppo lontano e mi dirigo verso quella delle implicazioni educative dell’ “abitare il limite”. Ovvero::

  • imparare a convivere con gli altri; rispettando le regole che ci siano date;
  • avere un rapporto più dolce e più estetico con la natura e con le cose, che non sono mai soltanto delle merci;
  • riconoscere però che il nostro limite non azzera il potere che abbiamo di resistere e di progettare nuove iniziative.

Il mito della dominazione sulla natura, dell’idolatrizzazione della velocizzazione del pensiero e dei processi comunicativo-produttivi, la mitizzazione dei beni di consumo, ecc. Una trappola che copsì potrebbe essere sintetizzata mcomne ha inseghnato Alex Langer:

  •  dalla triade più veloce/più alto/più forte
  • alla triade più lento/più profondo/più dolce

Concordo pienamente quindi con coloro i quali affermano che accettare il limite significa esprimere la parte più saggia di se stessi.

  1. Il limite dell’Io e l’alterità

L’uomo moderno insieme all’uomo di tutti i tempi non potrà mai fare a meno di scontrarsi con un limite. Qualunque esso sia, da quello del pensiero compreso l’illusoria mega-espansione della fantasia, fino a quelli fisici determinati dalla sensualità: un suono prima o poi si perderà fino a non essere più percepito, una immagine perderà i suoi contorni via via che si allontana dall’osservatore, ma anche il limite più che mai oggettivo della fisicità corporea. Che lo si voglia o no, l’Io inteso come entità pensante e relazionante di un individuo va vista all’interno di un’area circoscritta che ne rappresenta identità e spazio vitale.

Il dramma e la forza della relazione non possono non essere visti in chiave spaziale. Gli spazi condivisi che non sono, “né dell’uno, né dell’altro”, e che alla fine diventano “o dell’uno o dell’altro” sono il vero motore della relazione intesa come conflitto o come opportunità. Senza gli spazi condivisi l’uomo non può porsi in alcuna relazione. Anche la relazione affettiva, rischia di vedersi penalizzata riducendo i rapporti a mera contiguità, fatti di aspettative utopistiche e per questo frustranti.

b. La saga del narcisismo e la morte del Tu

Quale è oggi il limite tra un narcisismo strutturale ed uno al limite della patologia mentale?

E se l’uomo moderno non sentisse più la necessità della normalità? E se non avesse bisogno di cercare fuori di sè? E se fosse convinto di bastare a se stesso? Questo forse è il pericolo più grande poichè si verificherebbe il caso in cui lo spazio vitale, che si identifica nel “dove io mi trovo in questo preciso momento”, diventa inalienabile e guai a chi tenta di insidiarne la proprietà. Non si discute! Non esiste alcun processo di “problem solving” che possa essere efficace. Non rimane quindi che la cruenta battaglia in cui uno solo può sopravvivere.

L’esistenza di un Tu è il primo limite con cui l’essere umano deve fare i conti. Prima ancora di determinare i termini di una qualunque questione, già l’esistenza dell’altro richiede una mutazione del sistema di assi cartesiani di ordine esistenziale. Si passa dalla dimensione individuale a quella sociale.

Chi è questo Tu oggi? Fino ad oggi il Tu era colui il quale muoveva la mia attenzione, o indifferenza, che muoveva le mie emozioni tanto nell’amare quanto nell’odiare, che muoveva i miei appetiti o la repulsione ed il disgusto. Insomma il Tu era un essere vivo e vitale che suscitava reazioni altrettanto vitali. In fondo, almeno fino a qualche anno fa il Tu veniva visto da tutti come una necessità da cui non si può prescindere. Ora è un fantasma digitale!

c. Il limite come mortificazione: l’Io strangolato

Il limite è visto come una sfida perenne! Una mortificazione per l’Io bisognoso di espressioni di libertà su tutti e su tutto, costi quel che costi. E’ una frustrazione a cui l’Io viene giocoforza sottoposto e che, nella condizione adolescenziale in cui si trova, non accetta minimamente. Dalla mortificazione all’esaltazione il passo è breve. La scienza è passata da una stagione di ricerca soggetta a criteri di riflessione etici e regole, oggi è il mezzo principale per poter penetrare in maniera dissacrante nei misteri della vita. E laddove il percorso si fa impervio oppure incerto, ecco intervenire l’azione correttiva fondata sulla congenita malizia dell’uomo. Oggi si costruiscono verità scientifiche a misura, su commissione si potrebbe dire, dell’ideologia dominante. Non serve più una ricerca seria e un dibattito scientifico ad un certo livello. Alla fine possiamo dire che il risultato da ottenere determinerà i calcoli da fare per ottenerlo. L’Io non si fa strangolare. 

c. Onnipotenza e angoscia di morte

La sensazione onnipotente dell’uomo che arriva a credere di potere tutto, si scontra con un’evidenza da cui non sfuggirà mai: il mistero. Qualunque cosa possa essere svelata alla fine porrà colui il quale ricerca di fronte ad una nuova porta chiusa. Il mistero è una condanna per il materialismo e un godimento per  chi vede nel trascendente un “grande compagno di giochi”. Da sempre uno dei giochi più eccitanti dei bambini è quello in cui  si ha a che fare con un mistero da svelare (rimpiattino: dove sei?; caccia al tesoro: dove sta?; indovina chi?; ecc. ecc.). Certo i bambini non hanno paura del mistero, fa parte del loro “limite accettato”. Non solo ma nel convivere con esso ne trovano anche la risorsa, come dire, un investimento per un futuro non piatto e monotono. C’è sempre qualcosa da dover svelare ed è meglio così!

Diverso è l’atteggiamento di diffidenza e di angoscia di fronte a ciò che non si sa e che desta inquietudine. Su questa linea il mistero diventa fonte di paura e insopportabile. Deve essere svelato e solo dopo avere infranto le barriere della conoscenza, l’animo si quieta, ma per ritornare nuovamente nell’agitazione in una prossima occasione.

d. L’oltre limite come nicchia di “normale follia”

Che differenza c’è tra “l’onnipotenza” e “l’oltre limite”? L’onnipotenza consiste nel coltivare e produrre comportamenti costantemente proiettati verso estremi il più delle volte virtuali e difficilmente raggiungibili. L’onnipotenza è più fonte di frustrazione che di gratificazione. L’oltre limite invece è una condizione stabile, un modo di approcciare alla vita tradotto nel quotidiano. E’ un po’ come vivere sopra le righe attestandosi verso modalità estreme. La differenza con il primo è che l’oltre limite si traduce in atti e comportamenti concreti e mete realizzabili. Realizzabili è vero, ma a caro prezzo. Una sorta di convivenza con la follia di una vita all’insegna del rapido consumo dell’esistenza, quindi al servizio delle pulsioni di morte.

  • Il pensiero minimo nuova barbarie

Tutti noi conosciamo il pensiero filosofico, il pensiero etico, il pensiero debole, ma nessuno conosce il “pensiero minimo”.

Il “pensiero minimo” è il frutto della velocizzazione dei processi mentali e dei ritmi esistenziali (economici, politici, sociali ecc.) della nostra epoca. Mentre la storia della filosofia racconta dei passaggi di espansione da un pensiero semplice e primitivo alla piena utilizzazione dei processi mentali, tra cui l’analisi della realtà e la sua parcellizzazione finalizzata alla comprensione anche dei più discreti sotto-processi, il pensiero moderno non si dà il tempo per l’analisi e per la successiva sintesi, ma passa direttamente a quest’ultima. L’analisi, una volta frutto di confronto e di dialogo tra saggi, nella quale si inserivano anche le ragioni di opportunità e di inopportunità, oppure di liceità o non liceità, oggi viene affidata ad un algoritmo che ci dirà in tempo reale “si” oppure “no”. Uno di questi algoritmi è il dio “audience”, oggi è l’AI.

  • La malizia e la verità a macchia di leopardo

Oggigiorno la verità è un bene accessorio, così come l’amore per la verità è soltanto un’intenzione piuttosto che un obiettivo morale da perseguire a qualunque costo. L’amore della verità è stato irreparabilmente contaminato dal relativismo per cui ognuno ha la propria verità da mettere in confronto con quella dell’altro. Quale logica conseguenza di questa infezione è che non potendo sussistere più verità, l’unica verità viene parcellizzata in tanti frammenti. Una parte di essi saranno utilizzati e la rimanente, generalmente quella scomoda, quella che contesta l’ideologia di fondo che si intende confermare come vera, vengono accantonati. Per questo appare uno schema a macchia di leopardo che induce la falsa sicurezza in chi ascolta e chi parla che tutto il proprio discorso sia incontestabile in quanto fondato su una verità (parziale), lo stesso fanno gli oppositori.

Il punto è che alla fine su una piccola verità si costruiscono castelli di menzogne. Il processo è talmente fine e credibile che alla fine anche i bugiardi stessi sono convinti di essere nel vero

  • La menzogna quale meta-comunicazione

Il dialogo tra maliziosi si basa sulla menzogna scientemente usata. Quindi la menzogna stessa entra nelle strategie e diventa parte della meta-comunicazione nel mondo moderno. La comunicazione mediatica, mossa dalle ideologie passa attraverso un crogiolo di affinamenti multipli il cui scopo non è dire il “vero”, ma dire il “verosimile” per suffragare la propria tesi ideologica.  Un qualcosa di credibile per chi lo afferma e per chi lo ascolta.

La meta-comunicazione, in politica, nell’economia, nella scienza ha ormai assunto questa fisionomia allontanandosi dai classici e nobili stili del passato, dove la resa ed il riconoscimento del valore dell’oppositore ricadevano sul perdente esaltandone addirittura il profilo etico personale.

Conclusioni: Chi  ferma chi?

Tutta questa descrizione impone da sè la necessità di rientrare nei ranghi. L’uomo occidentale, entrato nel post-moderno deve rendersi conto che così come vanno le cose, piuttosto che un avanzamento si è arretrati a  una neo-barbarie pericolosissima.

Non essendoci più impalcature di ordine etico tutti possono tutto. Se il delirio di onnipotenza è facilmente identificabile, l’oltre limite no. L’oltre limite può essere individuato se si compie una vera e propria opera di purificazione del pensiero e del cuore. Altrimenti non c’è più nessuno che possa fermare il delirio personale e di massa. Diventa un processo di mutua alimentazione dell’onnipotenza, una corsa al massacro che non può che portare all’implosione dei meccanismi, facile profezia per quella parte di umanità che ancora ragiona (o meglio che si concede il tempo di ragionare).

Tratto da: M.E. Luparia, “Quale uomo. Riflessioni sul dissolvimento dell’identità umana”, Lateran University Press, Città del Vaticano 2014